L’ultima delle eresie
L’eresiologia è una forma letteraria cristiana che ha come obiettivo quello di presentare, discutere e confutare le cosiddette “eresie”. Le sue origini, sebbene discusse, vengono generalmente ricondotte a uno dei primi trattati di confutazione delle haireseis, il Syntagma di Giustino Martire, oggi perduto. La produzione eresiologica continua e si sviluppa nei secoli successivi non soltanto in greco e in latino, ma anche in altre lingue, come il siriaco.
A partire dall’età tardoantica si diffonde la tendenza a catalogare le eresie in ordine cronologico, cercando di mostrarne successioni, connessioni e persino genealogie. Epifanio di Salamina è uno degli autori che più chiaramente adotta questo metodo: il suo Panarion inizia dalle “madri delle eresie” all’origine del mondo, come l’hellenismos (“paganesimo”), passa poi per la comparsa del primo “eresiarca”, Simon Mago, e giunge fino all’epoca del vescovo cipriota, con i messaliani.
Anche Giovanni Damasceno, nel Sulle eresie (secondo libro della Fonte di conoscenza) segue questo modello. Quest’opera si apre con il “barbarismo”, la prima eresia sorta dopo il peccato di Adamo ed Eva, passa attraverso secoli di errori ereticali (dai cosiddetti gnostici agli ariani, dai montanisti ai nestoriani) e giunge fino al tempo dell’autore. Infine, il capitolo 100, l’ultimo del trattato, è dedicato a quello che l’autore definisce “precursore dell’Anticristo”: l’eresia degli ismaeliti. Con questo nome Giovanni si riferisce all’islam, religione che conosceva bene. Del resto, egli aveva trascorso la sua giovinezza a Damasco, capitale del Califfato omayyade, e la sua famiglia apparteneva all’élite cristiana al servizio dei califfi.
La presenza dell’islam nell’ultima sezione del trattato ha suscitato grande interesse negli studi recenti non soltanto sul Damasceno, ma anche sul contesto religioso tra VII e VIII secolo. Lo dimostrano le due recenti monografie di D. Janosik [1] e P. Schadler [2], dedicate in generale al rapporto tra Giovanni e l’islam, e, in Italia, un contributo di M. Monaca [3]. La domanda centrale resta la stessa: perché l’islam viene classificato come eresia? E quali sono, per il Damasceno, i punti di contatto tra l’eresia degli ismaeliti e il cristianesimo, soprattutto nelle sue forme “eterodosse”?
Mamet, falso profeta o uomo divino?
Secondo una tendenza eresiologica già presente almeno da Ireneo di Lione, il Damasceno presenta all’inizio del capitolo 100 della sua opera il fondatore dell’eresia degli ismaeliti. Egli racconta che, al tempo di Eraclio, tra le popolazioni pagane d’Arabia, adoratrici di Afrodite, era sorto un presunto profeta. Il Damasceno lo chiama Mamet, versione greca dell’arabo Muhammad. Questo profeta, scrive l’eresiologo, aveva letto alcuni libri delle Scritture ed era stato istruito da un monaco ariano – sul quale tornerò più avanti. In seguito, egli avrebbe deciso di comporre una propria Scrittura, presentata come rivelata da Dio, allo scopo di ingraziarsi la popolazione. Si tratta di una delle prime attestazioni in greco degli scritti coranici.
La rappresentazione del Profeta è chiaramente negativa: secondo Giovanni, Muhammad cercava di apparire come un uomo divino, ma in realtà era solo un ciarlatano, pronto a ingannare i suoi seguaci. A questo proposito, è indicativo l’episodio di Zayd, il discepolo più fedele, a cui il Profeta sottrae la moglie di cui si era innamorato, giustificando l’atto con un presunto ordine divino. Tale ritratto non è però del tutto originale. Il Damasceno attinge alla tradizione eresiologica precedente, che descrive i fondatori di eresie come “anti-uomini divini”, per usare un’espressione di Y.R. Kim [4]. Tale rappresentazione ribalta i tratti positivi attribuiti in età tardoantica agli uomini divini, come Antonio, trasformandoli in caricature: ciarlataneria, falsa sobrietà, passione smodata per le donne, e così via. A loro volta, gli eresiologi avevano ripreso questo modello da opere polemiche precedenti o contemporanee: si pensi al falso profeta Alessandro di Abonouteicos o al filosofo Peregrino, entrambi oggetto dell’ironia di Luciano di Samosata.
Il Damasceno riprende questi motivi e li combina nella sua rappresentazione polemica di Muhammad. Si potrebbe persino dire che il Profeta rappresenti un insieme di tutti i peggiori tratti degli eresiarchi precedenti: è un falso profeta come Montano, appassionato di donne come Marco il Mago, inventore di una Scrittura come Elcasai. In questa prospettiva, il fondatore dell’ultima delle eresie concentra in sé l’eredità di secoli di haireseis, quelle stesse eresie che il Damasceno aveva passato in rassegna nei capitoli precedenti.
Islam e cristianesimi: dottrina, liturgia e polemica
Come accennato, all’inizio del capitolo sugli ismaeliti il Damasceno afferma che Muhammad era stato istruito da un monaco ariano. È la prima menzione di questa figura come maestro del Profeta: un probabile riferimento a una figura al centro di una leggenda destinata ad avere grande fortuna, soprattutto nelle fonti islamiche: il monaco nestoriano Sergio Bahira. A questo tema B. Roggema ha dedicato un volume di grande interesse [5].
Il riferimento all’arianesimo non è casuale, ma funzionale alla polemica di Giovanni. Basandosi sugli scritti coranici, egli cerca di dimostrare che Muhammad è stato influenzato dagli altri eretici sul piano teologico e che ne ha ripreso, per l’appunto, diverse dottrine. In particolare, l’eresiologo si concentra sulla figura di Gesù e sulla questione della sua natura. Per Muhammad, Cristo non è il Figlio di Dio ma soltanto un suo messaggero, privo di divinità. Non sarebbe stato crocifisso, bensì sostituito da un’ombra, portato in cielo e interrogato dal Signore: in quell’occasione, egli avrebbe negato di essere Figlio di Dio, attribuendo la sua presunta divinizzazione all’ignoranza degli uomini. Giovanni cita a questo proposito alcuni passi coranici, tra cui la sura 5 (La mensa), in cui è effettivamente contenuto il dialogo tra Gesù e Dio.
Nell’interpretare questo passo e nel polemizzare con le “storielle” di Muhammad, il Damasceno ricorre agli stessi strumenti che aveva utilizzato contro altri gruppi ereticali, come i nestoriani, in merito alla natura umana e divina di Cristo: argomenti simili si ritrovano infatti nel Sulla fede contro i Nestoriani e nel Contro i nestoriani. Altri aspetti ricollegano l’islam a pratiche o dottrine “eterodosse”: per esempio, il rifiuto del vino, che Giovanni attribuisce nei capitoli precedenti a gruppi cristiani come gli encratiti, oltre che a tradizioni filosofiche come quella pitagorica.
In questo modo, l’islam è per il Damasceno non soltanto l’ultima delle eresie, ma anche, come detto, un insieme dei tratti caratteristici delle haireseis precedenti. Per l’eresiologo, il movimento di Muhammad, a cui aderivano i governanti al servizio dei quali la sua famiglia e lui stesso avevano lavorato, non costituiva una “nuova religione”. Se qualcosa di nuovo c’era, era l’iniziativa del Profeta di aggiungere ulteriori elementi alle eresie, pur collocandosi, agli occhi del Damasceno, in continuità con esse. Per spiegare questo fenomeno, Giovanni lo inserisce quindi in una tradizione già nota, di cui l’islam rappresenterebbe l’ultimo capitolo.
Gaetano Spampinato
[1] D. Janosik, John of Damascus. First Apologist to the Muslims. The Trinity and Christian Apologetics in the Early Islamic Period, Pickwick Publications, Eugene 2016.
[2] P. Schadler, John of Damascus and Islam: Christian Heresiology and the Intellectual Background to Earliest Christian-Muslim Relations, Brill, Leiden-Boston 2018.
[3] M. Monaca, “Pluralità e pluralismi nella Damasco omayyade. Le visioni islamiche di Giovanni Damasceno”, in S. Botta – M. Ferrara – A. Saggioro (edd.), La Storia delle religioni e la sfida dei pluralismi, «Quaderni di studi e materiali di storia delle religioni» 18, Morcelliana, Brescia 2017, 249-257.
[4] Y.R. Kim, “Reading the Panarion as Collective Biography: The Heresiarch as Unholy Man”, in Vigiliae Christianae 64.4 (2010), 382-413.
[5] B. Roggema, The Legend of Sergius Baḥīrā: Eastern Christian Apologetics and Apocalyptic in Response to Islam, Brill, Leiden-Boston 2009.
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