La collana “Nuovi Testi Patristici” di Città Nuova ospiterà, nelle prossime settimane, la prima edizione con traduzione e commento in lingua italiana delle Omelie contro i Pauliciani di Pietro Siculo. In questo secondo post si presentano al lettore i punti cardine della dottrina pauliciana, gli stessi che il nostro autore analizzerà nelle sue omelie.

 

Un Manicheismo redivivo?

Nel primo post abbiamo avuto modo di conoscere Pietro Siculo, la sua biografia ancora avvolta da dubbi e incertezze e presentare le opere a lui ascritte dalla tradizione bizantina. In questo secondo post analizzeremo una particolare sezione della sua opera più famosa, la Storia utile. Essa ci sarà d’aiuto per accostarci ai punti salienti della dottrina pauliciana, comprendere i suoi supposti legami con il Manicheismo, e, cosa non meno importante, capire i motivi che spinsero il nostro autore a non esaurire la propria indagine ma allargarla e approfondirla attraverso la stesura delle omelie.

 Nella sua Storia utile (§§ 48-87) Pietro Siculo non esita, sin dal titolo, a presentare ai propri lettori i pauliciani quali manichei redivivi incardinando la preistoria del movimento su quella del Manicheismo storico, perlomeno così come raccontata da fonti cristiane come le Catechesi di Cirillo di Gerusalemme, il Panarion di Epifanio di Salamina e gli Acta Archelai di Egemonio. Dopo Mani, il profeta di Babilonia vissuto nel III sec., ecco dipanarsi una serie di suoi discepoli e missionari giunti sino in Armenia dove, in un periodo imprecisato, il suo messaggio attecchì nella città di Samosata. È qui che, sul finire del VII sec., Costantino, un devoto manicheo, per sfuggire alle persecuzioni bizantine compie una scelta decisiva: rinnegare gli scritti di Mani rifacendosi ai Vangeli e alle lettere di Paolo ma interpretati attraverso una lettura allegorica dualistica. Muta anche il proprio nome in Silvano e lascia Samosata per i territori bizantini. Sarà il primo maestro (didaskalos) e diffusore del Paulicianesimo (Storia utile §§ 94-101).

Dal punto di vista di Pietro Siculo tale ricostruzione, oltre a rispondere ad una necessità “ordinatrice”, rientra in un preciso assioma eresiologico, caro alla polemistica bizantina, che si basa sul primo segno distintivo della dottrina pauliciana: il dualismo. È pur vero che, nelle fonti cristiane, l’accusa di “Manicheismo” acquisisce talvolta significati generici, indicando l’eretico e l’eresia. Infamante, certo, ma non per questo vi soggiace un preciso riferimento teologico-dottrinale. Il fatto che tale categoria resista anche dopo il VI sec., con il Manicheismo ormai estirpato in Occidente, è prova della sfida che il pensiero di Mani rappresentò per quello cristiano ma non deve indurre a conclusioni che tengano solo conto dell’impostazione eresiologica cara a Pietro Siculo.

 

O una particolare forma di dualismo cristiano?

Spiegare il dualismo cristiano medievale attraverso la sola mediazione manichea, pur accettando l’idea di analogie tipologiche, limita la comprensione del fenomeno. Alcune correnti gnostiche e lo stesso Marcionismo, ad esempio, sono il segno di una riflessione dualistica che, come un fiume carsico, ha attraversato la storia del pensiero cristiano talvolta riemergendo e indicando che, dopotutto, certi ambiti di riflessione non erano inusuali né ignoti.  Non un legame genealogico diretto o una filiazione, bensì stimoli che pur persistendo subiscono riletture in forme nuove, originali, risultato dei contesti socio-religiosi specifici in cui questi movimenti sorgono e si diffondono.

Non ultimo, è da ricordare, il forte legame che i dualismi medievali – Paulicianesimo incluso – stringono con le Scritture cristiane (non già manichee) e, soprattutto con il Vangelo, attraverso un’adesione radicale al suo messaggio di povertà e salvezza. Un ritorno a princìpi essenziali, verso un’esperienza religiosa e spirituale autentica che permetta di fregiarsi del titolo di “cristiani” che la Chiesa, con la sua sovrastruttura dogmatica e gerarchica, avrebbe irrimediabilmente abbandonato e svuotato del suo vero significato.

 

La dottrina pauliciana

Al di là delle problematiche relative alla lettura eresiologica tradizionale del dualismo cristiano, l’opera di Pietro Siculo rimane comunque uno strumento prezioso per la nostra comprensione del pensiero pauliciano. Seppur filtrate da un punto di vista ortodosso e polemico, le sei dottrine individuate dal nostro autore (Storia utile §§ 36-45) sono ancora un valido punto di partenza. Possiamo riassumerle come segue:

1) I pauliciani professano l’esistenza di due princìpi, ovvero, di un Dio malvagio, creatore del mondo sensibile, e di un Dio buono (anche detto Padre celeste) che è signore del secolo venturo. Un dualismo netto, uno schema essenziale nel quale mancano – per il silenzio delle fonti a riguardo – elementi che avrebbero potuto fornirne un quadro più chiaro sui rapporti intercorrenti tra i due princìpi come, ad esempio, un mito di fondazione o un racconto cosmogonico.

2) Negazione del culto di Maria e dei suoi titoli di Semprevergine e Madre di Dio. Cristo avrebbe recato dal cielo il proprio corpo semplicemente passando attraverso Maria la quale, dopo la nascita di Gesù, generò altri figli insieme allo sposo Giuseppe.

3) Rigetto dell’eucarestia e della partecipazione ai divini misteri. Il pane e il vino offerti da Gesù ai discepoli nell’Ultima Cena rappresenterebbero “simbolicamente” (συμβολικῶς) non il suo corpo e il suo sangue ma le sue parole e i suoi insegnamenti.

4) Divieto del culto della croce in quanto mero strumento di punizione dei malfattori. Cristo, poiché manifestatosi “in apparenza” (ἐν δοκήσει), non poteva morire fisicamente.

5) Disconoscimento dei libri dell’Antico Testamento e dei profeti definiti “bugiardi” (πλάνους) e “ladri” (λῃστας). Il canone pauliciano delle Scritture accetta, senza variazioni testuali, i quattro Vangeli, gli Atti degli Apostoli, tutte le lettere di Paolo, di Giacomo, di Giovanni e di Giuda alle quali si aggiungono quelle del didaskalos Sergio-Tichico. Non sono riconosciute l’Apocalisse e le lettere dell’apostolo Pietro. Un altro elemento di non poca importanza è costituito dall’esegesi condotta su questi testi dai pauliciani, accusati di condurla tanto allegoricamente quanto forzando il senso delle parole a proprio vantaggio.

6) Disconoscimento del sacerdozio (perlomeno nel senso ortodosso) perché, a condannare Cristo, furono proprio dei sacerdoti.

Anche dopo una veloce lettura è possibile individuare – soprattutto nei punti 2 e 4 – la presenza nel “credo” pauliciano, perlomeno come restituitoci dalla Storia utile, di una cristologia di stampo o ispirazione docetica. Il riferimento è a quella dottrina, nota appunto come Docetismo (dal verbo δοκέω ovvero “sembrare”) risalente ai primi secoli del Cristianesimo, che però non si costituì in un’eresia organizzata. Il termine indica piuttosto una serie di correnti eterogenee accomunate da un elemento costante: la negazione della realtà fisica e corporea di Cristo mettendo in dubbio le modalità della sua nascita, la sua natura umana, le sofferenze patite e la morte in croce.

Sempre seguendo quel principio ordinatore, che è anche cifra dell’opera di Pietro Siculo, l’autore offre ai propri lettori uno schema chiaro e lucido dell’alterità insita nel pensiero pauliciano: argomenti delicati se non essenziali. Il Paulicianesimo mette in dubbio e contesta elementi cardine della dottrina ortodossa e della fede, così come restituita dai Padri riunitisi nei concili ecumenici la cui autorità, ricorderà Pietro nella Omelia I (§ 3, 3), è incontestabile e garanzia di esattezza sia per il loro numero elevato che per la dottrina e il tempo impiegato nella corretta definizione delle verità di fede. L’occasione appare propizia per lanciare anche una stoccata significativa agli avversari e ai loro pochi e impreparati “teologi” dediti più ai bagordi mondani che allo studio serio della Scrittura.


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