Molte fonti, poca chiarezza: ricostruire la vita del Damasceno
Giovanni Damasceno, vissuto tra la seconda metà del VII e i primi decenni dell’VIII secolo, è considerato l’ultimo dei Padri della Chiesa e, insieme, uno dei primi autori della tradizione bizantina. Nelle sue opere riprende la produzione cristiana tardoantica, ma la rielabora con originalità, adattandola al contesto in cui vive. La sua vasta produzione (dalla teologia all’esegesi, fino all’eresiologia) ha attirato l’attenzione di studiose e studiosi. Nel contempo, non meno interesse ha suscitato la sua biografia: Giovanni appartiene infatti a una famiglia cristiana di credo calcedoniano, vissuta sotto il Califfato omayyade, in un’epoca segnata dal consolidamento del potere musulmano nel Levante e dalla definizione dell’islam in rapporto al cristianesimo e all’ebraismo.
Sulla vita del Damasceno disponiamo di diverse fonti: testi agiografici redatti molto dopo la sua morte, cronache di storici bizantini e arabi, atti conciliari e scritti riguardanti personaggi a lui vicini, come il “fratello” Cosma. Questi documenti, soprattutto quelli di carattere agiografico, sono stati recentemente riordinati, studiati e analizzati da R. Volk e A. Peri [1], nell’ultimo di una serie di volumi dedicata alle opere e alla vita del Damasceno.
Eppure, tale abbondanza non rende più semplice ricostruire la biografia del teologo siriano: al contrario, molte testimonianze sono segnate da intenti polemici o apologetici. I primi testi a parlare della sua vita risalgono infatti al periodo della controversia iconoclasta. Poiché Giovanni si era schierato in difesa delle immagini sacre, alcune fonti, come gli atti del concilio “iconoclasta” di Hieria (754), ne offrono un ritratto negativo; solo più tardi, con il secondo concilio di Nicea (787), che sancisce la legittimità del culto delle icone, egli viene riabilitato e celebrato in opere agiografiche.
La varietà e la faziosità di questi documenti, pertanto, rendono difficile una ricostruzione precisa. Tuttavia, una lettura comparata delle fonti in nostro possesso consente comunque di delineare le tappe principali della sua esistenza: una prima fase a Damasco, capitale del Califfato omayyade, dove Giovanni si forma e inizia la carriera pubblica; e una seconda fase presso il monastero di Mar Saba, dove vive come monaco e teologo dopo la rottura con il potere califfale.
Al servizio dei califfi: la famiglia di Giovanni nella Damasco omayyade
Come detto precedentemente, Giovanni nasce nella seconda metà del VII secolo a Damasco, capitale del Califfato omayyade, da una famiglia cristiana di fede calcedoniana al servizio dei califfi. Il nonno, Mansur, e il padre, Sergio, entrambi funzionari di alto livello, ricoprirono incarichi fiscali di rilievo, mantenuti anche dopo il passaggio dal dominio bizantino a quello arabo; il nonno di Giovanni sarebbe stato addirittura tra i notabili della città che ne contrattarono la resa al momento dell’assedio da parte del comandante Khalid.
Cresciuto nella capitale del Califfato, Giovanni riceve, insieme al fratello adottivo Cosma, un’educazione greca completa, che comprende la filosofia, la teologia e lo studio delle Scritture, sotto la guida di un certo Cosma, monaco originario dell’Italia meridionale. È molto probabile che al giovane venisse insegnato anche l’arabo, lingua dell’amministrazione e della cultura dell’epoca, come suggeriscono alcune sue opere polemiche in cui egli cita i testi coranici, nonché i legami della sua famiglia con l’élite letteraria della corte omayyade – per esempio, il poeta Al-Akhtal. Del resto, in qualità di erede di una famiglia di amministratori pubblici, Giovanni era destinato a ricoprire il ruolo del padre, come già questi aveva fatto dopo Mansur.
Alla fine del VII secolo, pertanto, Giovanni inizia la carriera amministrativa al fianco del padre, negli anni del califfato di Abd al-Malik. Secondo una delle più antiche fonti sul Damasceno, la Vita araba, il giovane succede a Sergio come “contabile dell’emiro” (kātib al-amīr), incarico che comporta la gestione della riscossione delle tasse in Siria. In effetti, il concilio di Nicea II (787) ricorda questa attività del Damasceno, paragonandolo all’apostolo Matteo: secondo gli atti conciliari, infatti, Giovanni, al pari dell’apostolo, avrebbe lavorato come pubblicano al servizio degli oppressori, prima della chiamata di Cristo.
Al di là delle note polemiche sul rapporto con il potere musulmano, il Damasceno vive in un contesto religioso dinamico a stretto contatto con poeti, filosofi e pensatori di diverse fedi. La Damasco di Giovanni appare come una città vivace e, potremmo dire, “multiculturale”, in cui cristiani e musulmani si confrontano e si scontrano attorno a diversi temi, dalla politica alla teologica. È proprio in questo ambiente di dialogo e conflitto che si forma il futuro teologo, testimone di un’epoca di profonde trasformazioni.
Da Damasco a Mar Saba
La carriera pubblica di Giovanni si interrompe con l’ascesa al trono del “pio” califfo Omar II (717-720): quest’ultimo, nel contesto della ripresa degli sconti con l’Impero bizantino, decide di escludere i cristiani dagli incarichi amministrativi. Diversamente da altri funzionari che si convertono all’islam per mantenere il proprio ruolo, Giovanni, secondo le fonti agiografiche, abbandona l’incarico e lascia Damasco. Si stabilisce pertanto in Palestina, nel monastero di Mar Saba, presso Gerusalemme, allora uno dei più importanti centri spirituali e intellettuali dell’Oriente cristiano.
A Mar Saba il Damasceno vive come monaco e viene ordinato sacerdote dal patriarca di Gerusalemme, Giovanni. Proprio del vescovo ierosolimitano, Giovanni diventa il teologo di riferimento, in un periodo in cui la “ortodossia” si confrontava con diverse “minacce” ereticali: tanto quelle del passato (per esempio, il nestorianesimo), quanto quelle che emergono in quegli anni – la controversia iconoclasta e lo stesso islam, visto dal Damasceno come una eresia. Sotto la spinta del patriarca, Giovanni compone la maggior parte delle sue opere, dedicate alla teologia, all’esegesi e, come detto, alla polemica antiereticale, contro nestoriani, monofisiti, iconoclasti e musulmani.
Il Damasceno muore verso la metà dell’VIII secolo, certamente prima del concilio iconoclasta di Hieria (754), voluto dall’imperatore Costantino V. Gli atti conciliari sembrano attestare che egli fosse già morto per quella data e lo condannano come “veneratore delle icone”, accusandolo perfino di complicità con i musulmani. La sua figura viene però presto riabilitata: già con il secondo concilio di Nicea (787) Giovanni viene celebrato per la solidità della sua fede, la costanza contro gli avversari e la ricchezza della sua attività intellettuale.
L’emergere dell’islam agli occhi di un cristiano
La vita e le opere di Giovanni Damasceno si collocano in un’epoca di intensi scambi tra cristiani e musulmani. Nella Damasco omayyade, centro politico e culturale del Califfato, i rapporti possono assumere la forma del conflitto polemico o del dialogo. Proprio da questo intreccio di contrasti e confronti nascono processi di “definizione identitaria” reciproca: ciascuna comunità elabora le proprie dottrine, pratiche e forme di culto spesso in risposta all’altra. Secondo le parole di K. Heyden e D. Nirenberg, cristiani e musulmani “co-producono” i loro tratti distintivi nella necessità di un rapporto reciproco, in un costante gioco di differenziazione e, talvolta, di assimilazione [2].
In questo scenario, Giovanni è un testimone privilegiato di tali dinamiche interreligiose. Le sue opere mostrano come la riflessione teologica cristiana si confronti con l’islam nascente e, allo stesso tempo, con le divisioni interne ai cristianesimi orientali. Nel contempo, anche l’islam, nel confronto con il cristianesimo, nonché con l’ebraismo, modella alcuni suoi aspetti, sul piano della teologia, dell’esegesi e della liturgia, nel tentativo di segnalare una continuità ma anche una differenza (e la propria unicità) rispetto alle altre due tradizioni. La figura del Damasceno si colloca pertanto al crocevia di una stagione importante della storia del Mediterraneo tardoantico, che lo rende, secondo l’efficace titolo di un libro curato da S. Chialà e L. Cremaschi, un padre al sorgere dell’islam [3].
Gaetano Spampinato
[1] R. Volk, A. Peri (ed.), Die Schriften des Johannes von Damaskos [Band 10]. Iohannis Damasceni Vitae, PTS 81, De Gruyter, Berlin-Boston 2024
[2] K. Heyden, D. Nirenberg, Co-produced Religions: Judaism, Christianity, and Islam, in «Harvard Theological Review» 118 (2025), 159-180 [link: https://coproduced-religions.org/resources/publications ]
[3] S. Chialà, L. Cremaschi (ed.), Giovanni di Damasco. Un padre al sorgere dell’Islam, Qiquajon, Magnano 2006.
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