Marcello di Ancira: chi era costui?

Marcello, vescovo di Ancira in Galazia († 374), svolse un ruolo importante durante la cosiddetta controversia ariana del IV secolo. Si oppose fermamente ad Ario e ai suoi compagni e sostenne Nicea e Atanasio. Fu una figura controversa, lodata da papa Giulio e dal sinodo di Serdica (343), e condannata da Eusebio di Cesarea e dal sinodo di Costantinopoli (336).

Marcello fu erede della tradizione teologica d’Asia Minore ma anche un teologo creativo. Come rappresentante della teologia asiatica, riecheggiò l’insegnamento di Ireneo, valorizzò l’umanità di Cristo e insistette sull’unità di Dio, sempre però in modo originale. Gran parte dei suoi scritti si sono persi: la lettera di Marcello a Giulio di Roma (Ep.) è trasmessa da Epifanio (Haer. 72,2-3.); Eusebio di Cesarea, nelle sue opere polemiche, ha conservato più di 120 frammenti di un importante trattato teologico contro gli alleati di Ario (Fr.); e gli è stato attribuito, con valide ragioni, un piccolo trattato pseudonimo, De sancta ecclesia (SE.).

 

Il Logos eterno e Gesù Cristo

Per comprendere il tema di Gesù-Via secondo Marcello, è necessario situarlo nel contesto della sua visione della storia della salvezza. Il vescovo galata pensava che inizialmente Dio sussistesse in solitudine e che il logos non fosse un essere sussistente, bensì che si trovasse in Dio come una facoltà divina: «Prima di qualunque creazione, c’era una sorta di quiete, come conveniva, poiché il logos era in Dio» (Fr. 76). In principio il logos non era altro che logos (Fr. 3; 5; 7; 65; 94; Ep. 2.4). Eternamente, non era il Figlio, bensì era la ragione di Dio (λόγος). Di conseguenza, Marcello interpretò in modo originale il ben noto versetto di Proverbi 8,22 («Il Signore mi creò principio delle sue vie per le sue opere»»):

Quindi giustamente, poiché le cose antiche erano passate e tutto stava per rinnovarsi grazie alla novità del nostro Salvatore, Cristo, nostro Padrone, per mezzo del profeta gridava dicendo: «Il Signore mi creò principio delle sue vie» (Fr. 27)

Le tradizioni cristiane anteriori avevano regolarmente compreso Proverbi 8,22 come una descrizione dell’origine pre-cosmica del Figlio di Dio. Marcello respinse questa interpretazione e riferì il versetto biblico all’incarnazione; questa interpretazione fu seguita da Atanasio di Alessandria. Il frammento seguente è esplicito:

La creazione si riferisce all’attività secondo il suo uomo. Perciò il Signore dice: «Il Signore mi creò principio delle sue vie per le sue opere» (Prov 8,22). Mi creò, chiaramente, per mezzo della vergine Maria, per il cui tramite Dio ha scelto di unire la carne umana al suo proprio logos (Fr. 28)

E ancora:

Dunque, stando così le cose, ne consegue che si deve ponderare con la riflessione ciò che è detto in questo passo a mo’ di proverbio: «Il Signore mi creò principio delle sue vie per le sue opere» (Prov 8,22). Creò infatti, Dio, nostro Padrone, facendo veramente dal nulla (Fr. 29)

 

Gesù Cristo, via di salvezza e principio delle vie

Solo quando il logos si fece carne (Gv 1,14) divenne «principio delle sue vie per le sue opere» (Prov 8,22). Nell’eternità, il logos non era altro che logos, mentre «dopo l’assunzione della carne il [logos] si proclama sia Cristo e Gesù, sia Vita e Via, Giorno e Risurrezione, Porta e Pane» (Fr. 3). Quindi, non è il logos eterno come tale, bensì l’incarnato colui che divenne Via. Un altro frammento spiega il senso di quest’ultima espressione: «Lui, infatti, per noi che abbiamo in animo di vivere con giustizia è diventato via della pietà religiosa, principio di tutte le vie successive» (Fr. 30). Di nuovo, «lui» non era il logos eterno in sé, ma l’essere umano assunto dal logos. Quest’uomo, cioè Gesù, è la via della pietà religiosa per quanti desiderano camminare con giustizia. Gli esseri umani possono percorrere questa via perché prima era stata percorsa dall’uomo Gesù. Marcello chiarì ulteriormente il significato del versetto biblico:

Dunque dice [il profeta]: «Mi creò principio delle sue vie per le sue opere» (Prov 8,22). Di quali opere parla? Di quelle a proposito delle quali il Salvatore dice: «Mio Padre fino ad ora opera e anche io opero» (Gv 5,17). E ancora dice: «Ho portato a termine l’opera che mi hai assegnato» (Gv 17,4) (Fr. 32)

Conseguentemente, le «vie delle sue opere» si riferiscono alle opere proprie, per così dire, del Gesù storico. La vita e le opere di Gesù – non solo a sua morte e resurrezione – hanno un significato salvifico per gli esseri umani, secondo Marcello. Egli diventa Via in virtù della sua umanità. Come via, Gesù è realmente capace di essere seguito dagli esseri umani. Ciò che Gesù ha compiuto è suscettibile di essere compiuto dagli altri esseri umani, giacché egli fu un uomo reale in comunione con il logos eterno. Questa cristologia riecheggia la ben nota affermazione di Ireneo: «Il Logos di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, per il suo incommensurabile amore, si fece quel che noi siamo, per condurci a ciò che lui stesso è» (Haer. 5. prefazione). Inoltre, il vescovo di Ancira sviluppò la dimensione comunitaria, vale a dire ecclesiale, di questa dottrina. Prov 8,22 parla delle «vie», al plurale. Gesù, però, secondo Marcello, è la Via, che è il principio delle altre vie. In base a ciò, il vescovo spiegò il contenuto del versetto biblico:

Principio delle vie giustamente ha detto il nostro Padrone, il Salvatore, perché egli è diventato principio anche delle altre vie che abbiamo preso dopo la prima via, mostrando le tradizioni per mezzo dei santi apostoli , che con altissimo annuncio, secondo la profezia , ci hanno annunciato questo mistero nuovo (Fr. 31)

Pertanto, Gesù fu la prima di molte vie, perché gli apostoli, suoi discepoli e i vescovi continuarono le opere di Gesù (SE. 3). L’uomo Gesù fu il punto di partenza e il fondamento di questa successione.

 

Inizio e fine del regno di Cristo

Marcello aveva un senso profondo della tradizione, un’altra caratteristica che riecheggia il pensiero di Ireneo. Ma su un punto Marcello aggiunge qualcosa a questa tradizione, per quanto riguarda la fine dei tempi, e questa innovazione non venne accettata. Il vescovo di Ancira credeva che la fine dovesse essere simile al principio, e che il regno di Cristo non ebbe inizio con il logos eterno, bensì con l’uomo assunto dal logos; pertanto, dato che il regno di Cristo ebbe inizio poco meno di 400 anni prima, avrebbe dovuto avere anche una fine (Fr. 103; 106). Il frammento seguente delinea l’intero percorso del logos, dall’inizio alla fine:

Credo con le sacre Scritture che c’è un solo Dio, e che il suo logos procedette dal Padre, perché tutto fosse fatto per suo mezzo (Gv 1,3), ma, dopo il momento del giudizio, la correzione di ogni cosa e la scomparsa di ogni potenza nemica, allora lui stesso si sottometterà a colui che gli ha sottomesso ogni cosa, a Dio e Padre (1Cor 15,28), affinché il logos sia in Dio come era anche all’inizio, prima che il cosmo fosse (Fr. 109)

In accordo con la sua teologia, Marcello sostenne che, siccome il logos cominciò a essere «Via» quando iniziò l’economia della carne, cesserà di essere «Via» quando si concluderà l’economia della carne. Dato che la funzione mediatrice del logos ha un inizio, avrà una fine. Così, in accordo con l’accento posto sull’unità di Dio, alla fine, il logos starà in Dio come una facoltà divina, esattamente come era prima della creazione.

Marcello si sforzò di dare una risposta alla grande questione posta dalla compatibilità tra la fede in un Dio unico e la convinzione che Gesù Cristo fosse Dio. Alla fine, come testimonia la proposizione del Credo niceno-costantinopolitato scritta contro di lui «e il suo [cioè di Gesù Cristo] regno non avrà fine», la sua proposta fu respinta. Tuttavia la serietà del suo impegno e l’originalità del suo pensiero ci ricordano che il Credo di Nicea e il Credo niceno-costantinopolitano furono il frutto di un confronto inedito, e spesso duro, tra posizioni teologiche che esprimevano punti di vista diversi ma tutti degni di considerazione.

 

Samuel Fernández


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