All’interno del panorama editoriale italiano sugli studi patristici, la casa editrice Città nuova occupa senza dubbio un ruolo di primo piano, e non solo in ragione della storica collana Testi Patristici e delle numerose edizioni dei Padri della Chiesa da lei pubblicate, ma anche per la costante volontà di rinnovarsi. In quest’ottica, gli studiosi e gli appassionati di patristica non potranno non salutare con vivo interesse la nuova collana Nuovi testi patristici. La collana è stata inaugurata pochi mesi fa ospitando nel primo volume l’edizione critica con traduzione italiana e commento dell’A Diogneto, a cura di Fabio Ruggiero. Sulla base della ricchissima introduzione che accompagna il libro, proponiamo una breve guida alla lettura dell’A Diogneto, un testo che, come Fabio Ruggiero ci mostrerà in un prossimo post, per la sua notevole rilevanza fu menzionato più volte anche nei documenti di uno degli eventi-chiave della storia del Novecento, il Concilio Vaticano II.

I testi più celebri della letteratura subapostolica

La letteratura subapostolica comprende alcuni testi di autori cristiani che vissero nelle generazioni immediatamente successive a quelle degli apostoli: questi autori sono comunemente noti con il nome di “Padri apostolici”. Tra i testi più celebri ricordiamo le Lettere di Ignazio di Antiochia, la Didachè, il Pastore di Erma e l’A Diogneto. Quest’ultimo è un discorso protrettico (cioè un discorso in cui i destinatari vengono esortati a fare qualcosa) greco composto tra il II e il III secolo d.C., in cui l’anonimo autore cerca di rispondere agli interrogativi che il suo interlocutore pagano Diogneto gli aveva posto a proposito della religione cristiana. Secondo Fabio Ruggiero, colui che compose questo scritto potrebbe essere «un teologo in contatto con circoli sostenitori di una concezione “radicale” della novità cristiana, nutrito in particolare di tradizione paolina, persuaso che i credenti siano i soli per fede in grado di accedere a una reale conoscenza ed esperienza del Figlio inviato dal Padre a salvare gli uomini».

La storia dell’A Diogneto

La storia del testo dell’A Diogneto è alquanto peculiare. L’unico manoscritto contenente questo scritto (il codice Strasburgo, Biblioteca municipale, gr. 9) fu recuperato a Costantinopoli tra il 1435 e il 1437 da un chierico aretino di nome Tommaso, il quale lo acquistò da un pescivendolo che lo stava per utilizzare come carta da involucro per gli alimenti. Il manoscritto passò poi nelle mani di Giovanni Stojković da Ragusa, procuratore dell’ordine domenicano; poi entrò a far parte della collezione di Johannes Reuchlin, e, prima di giungere a Strasburgo, era conservato nell’abbazia alsaziana di Marmoutier.

La collezione manoscritta di Strasburgo bruciò insieme con la Biblioteca municipale il 24 agosto 1870, per un incendio scatenato dal cannoneggiamento dell’artiglieria prussiana. Fortunatamente, prima che andasse distrutto, il codice fu ricopiato almeno due volte (le copie si trovano attualmente a Leida e a Tubinga) e fu realizzato un discreto numero di edizioni a stampa dell’A Diogneto, la prima delle quali uscì nel 1592 a cura di Henri Estienne.

La struttura dell’A Diogneto


L’A Diogneto è convenzionalmente suddiviso in dodici capitoli, ma la maggioranza degli studiosi ravvisa una profonda discontinuità tra i primi dieci capitoli e gli ultimi due, che solitamente vengono ritenuti spuri e non considerati parte dell’originale A Diogneto. Infatti questi due paragrafi sono completamente diversi per referenti, modo di fare esegesi, tenore e stile rispetto ai precedenti dieci, e sembrano piuttosto provenire da un’omelia di intonazione scritturistica che qualcuno ha voluto inopinatamente aggiungere in coda all’A Diogneto.

Il contenuto dell’opera: il primo paragrafo


A proposito del contenuto dell’opera, nel primo paragrafo l’autore si dichiara pronto a rispondere ai dubbi sollevati dal suo interlocutore pagano a proposito della religione cristiana e a illustrarne gli aspetti cruciali. In particolare, Diogneto gli aveva posto tre domande. La prima concerne i motivi per cui i Cristiani da una parte rifiutano la tradizione religiosa dei Greci, dall’altra condannano la smodata devozione dei Giudei; la seconda riguarda l’amore vicendevole dei Cristiani; la terza le cause per cui la religione cristiana si sia manifestata così tardi rispetto alle altre. I temi del rifiuto della tradizione religiosa dei Greci e del distacco dalla smodata devozione dei giudei sono sviluppati nella prima parte dell’A Diogneto. L’autore prende fermamente le distanze dalla religione pagana praticata da Diogneto, dicendo (2, 1): «guarda non solo con gli occhi, ma anche con l’intelligenza, quale è la sostanza o quale la forma e di quelli che voi chiamate e giudicate dèi. Non è forse l’uno pietra simile a quella che si calpesta, […] l’altro legno ormai persino imputridito […], l’altro ferro corroso dalla ruggine, l’altro terracotta per nulla più decorosa di quella che è stata realizzata per il servizio più disonorevole?» (trad. F. Ruggiero).

I capitoli successivi


I capitoli successivi sono dedicati al modo in cui i Cristiani vivono nella società. I Cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per territorio, né per lingua, né per costumi, ma spiccano all’interno della comunità per il loro comportamento eccezionale. Così si dice a proposito dei Cristiani (5, 11-14) «Amano tutti, eppure da tutti sono perseguitati. Non sono conosciuti, eppure sono condannati; sono messi a morte, eppure ricevono la vita. Sono poveri, eppure arricchiscono molti; mancano di tutto, eppure in tutto abbondano. Sono disprezzati, eppure nel disprezzo sono glorificati». Alla base dell’amore cristiano, rivolto sia agli amici sia ai loro persecutori, c’è l’amore con cui Dio per primo ha amato l’uomo e di cui l’uomo stesso può farsi imitatore.


Infine, il fatto che la religione cristiana si sia manifestata così tardi dipende solo dalla bontà di Dio, che ha voluto sopportare i peccati dell’uomo prima di mandare il Figlio a redimere l’umanità intera (9, 1): «per tutto il tempo precedente permise che noi, sviati da piaceri e bramosie, fossimo trascinati come volevamo da impulsi disordinati: non certo perché si rallegrasse dei nostri peccati, ma perché li sopportava; né perché approvasse il tempo passato dell’iniquità, ma perché organizzava il tempo presente della giustizia».

La conclusione


Il capitolo conclusivo dell’A Diogneto è totalmente dedicato all’amore reciproco tra Dio e i cristiani, e in questo modo l’autore lascia la parola a Diogneto: ora toccherà a lui decidere se abbracciare oppure no la fede che gli è stata appena descritta (10, 7): « Allora, pur trovandoti sulla terra, vedrai che Dio governa nei cieli, allora comincerai a parlare dei misteri di Dio, allora amerai e ammirerai coloro che sono puniti per non volere rinnegare Dio, allora condannerai l’inganno del mondo e il suo errore: quando conoscerai la vera vita che è in cielo, quando disprezzerai quella che quaggiù si ritiene morte, quando temerai quella che realmente è morte, che è riservata a quelli che saranno stati condannati al fuoco eterno».


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Gianmario Cattaneo

Gianmario Cattaneo (Torino, 1990) ha conseguito il dottorato di ricerca in Filologia, Letteratura italiana e linguistica presso l’Università di Firenze, è stato fellow della Katholieke Universiteit Leuven, del Ludwig Boltzmann Institute di Innsbruck e del Warburg Institute di Londra, e assegnista di ricerca dell’Università di Torino. Si occupa di catene esegetiche greche e soprattutto dei frammenti di Severo di Antiochia, Teodoro di Mopsuestia, Origene. Per la Collana di testi patristici ha curato il volume Severo di Antiochia, Omelia sulla risurrezione.

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