Esce, per Città Nuova, una grande opera in 3 volumi: le Omelie sul Vangelo di Giovanni, tradotte da Domenico Ciarlo, che ce le presenta in uno splendido post su What’s New in Patristics.

 

Le Omelie sul Vangelo di Giovanni di Crisostomo: una presentazione

Le Omelie sul Vangelo di Giovanni sono una serie di 88 omelie, di media ampiezza, che coprono e commentano in modo sequenziale tutto il testo del quarto Vangelo, con esclusione dell’episodio della donna adultera di Gv 8, 1-11, che era sconosciuto al Crisostomo (e ad altri suoi contemporanei).

Per quanto riguarda la datazione, è stato dibattuto a lungo fra gli studiosi se queste omelie fossero state predicate ad Antiochia, quando l’autore era presbitero, o a Costantinopoli, dopo la nomina a patriarca: l’ipotesi più probabile le colloca ai primi anni Novanta del IV secolo, dunque al periodo antiocheno.

Come accade solitamente per le omelie esegetiche del Crisostomo, anche quelle sul Vangelo di Giovanni presentano per lo più una struttura bipartita: ad una prima parte di commento al testo evangelico ne segue una più o meno ampia di argomento morale, che sviluppa sotto forma di ammaestramento ed esortazione qualche spunto ricavabile dalla parte esegetica. Più volte, inoltre, le omelie iniziano con un preambolo di carattere generale, che serve da raccordo con l’argomento del lemma, o a richiamare l’attenzione degli ascoltatori o ancora a ribadire qualche ammonimento morale.

 

Omelie sul Vangelo di Giovanni/1 – collana Testi patristici

 

L’esegesi di Giovanni Crisostomo

Nella prima parte di ciascuna omelia, che è la parte propriamente esegetica, si possono vedere applicati i principi e i procedimenti esegetici che sono tipici del nostro autore. Essi si ricollegano alle impostazioni della cosiddetta scuola esegetica antiochena, che privilegiava il significato storico-letterale del testo biblico e che il Crisostomo segue con buon senso, senza eccedere in posizioni estremiste.

Pur rifiutando la molteplicità di interpretazioni tipica della tecnica allegorista alessandrina, che dava all’esegesi un’indubbia ricchezza di spunti, il Nostro ha voluto far emergere un’analoga ricchezza tramite l’analisi puntuale, precisa e opportunamente contestualizzata di ogni parola ed espressione della Scrittura. Per ottenere questo scopo egli utilizza in primo luogo la tecnica della parafrasi, riproponendo il testo con parole proprie, più semplici o più usuali all’orecchio dell’ascoltatore. Alla base di tutta l’esegesi sta, naturalmente, la consapevolezza che la Parola di Dio è quanto di più perfetto e veritiero possa esserci e che nulla in essa è senza un motivo. Ne consegue innanzi tutto che ogni sua espressione è la più opportuna e significativa che potesse essere usata in un dato contesto, per cui uno dei compiti di cui s’incarica l’esegeta è proprio quello di evidenziare come e perché, ad esempio, una data parola sia la più conveniente rispetto ad altre simili che la Scrittura avrebbe potuto usare, sì, ma con minore efficacia, oppure come un dato tempo verbale sia migliore di un altro che pur sembrerebbe equivalente.

Ovviamente nella perfezione delle Scritture non c’è posto per le contraddizioni e quelle che sembrano tali sono solo apparenti: dunque l’esegeta si premura spesso di risolvere problemi di tal genere, sia ricercando l’opportuno nesso logico tra le parti sia facendo confronti con tutti i passi scritturistici utili a fornire chiarimenti. Del resto, l’abbondanza di citazioni scritturistiche è costante in tutte le omelie e serve a rinforzare e confermare l’esegesi del testo evangelico di Giovanni, attuando la diffusa tecnica patristica di “spiegare la Scrittura con la Scrittura” e confermando la solida e vastissima conoscenza biblica del Crisostomo. Tuttavia, il letteralismo, come si diceva, è moderato e temperato dal buon senso. L’esegeta rileva come il linguaggio della Scrittura sia a volte figurato e metaforico e quindi non vada interpretato in senso “carnale”, cioè materiale, ma piuttosto spirituale.

L’unico caso in cui si potrebbe parlare di un duplice livello interpretativo nell’esegesi crisostomiana è quello della tipologia, che come è noto si applica tra realtà dell’Antico Testamento, da una parte, ed altrettante realtà del Nuovo, dall’altra, che dalle prime sono prefigurate ed anticipate. Questo procedimento, essenziale in tutti gli scrittori cristiani antichi per confermare la continuità tra i due Testamenti e per giustificare l’esistenza stessa del cristianesimo come perfezionamento e adempimento del giudaismo, permetteva di mantenere la validità del senso storico-letterale, presentandosi come aggiuntivo rispetto ad esso, per quanto essenziale e più perfetto. Perciò tale metodo interpretativo venne accettato ed applicato in modo più o meno vasto anche dagli esegeti antiocheni. Nel Crisostomo, e in particolare nelle sue omelie sul quarto Vangelo, la tipologia è espressa generalmente attraverso la coppia dialettica di termini greci týpos (prefigurazione) e alétheia (verità): il secondo termine evidenzia dunque quanto l’attuazione neotestamentaria delle anticipazioni contenute nella storia giudaica sia per il cristiano l’unica cosa davvero importante.

Nel merito, poi, la parte esegetica delle omelie è anche quella che viene utilizzata dal Crisostomo per l’illustrazione delle questioni teologiche che gli stanno più a cuore, prima su tutte la difesa della teologia ortodossa contro le posizioni degli eretici ariani (nella variante anomea). La polemica tocca la dottrina della conoscenza di Dio e soprattutto i rapporti tra Padre e Figlio, che il Crisostomo dimostra improntati a consustanzialità e uguaglianza, coeternità, parità di onore, identità di volontà, di potenza e di operazione.

 

L’istruzione morale di Giovanni Crisostomo alla luce del vangelo secondo Giovanni

Come si è detto, la seconda parte di ciascuna omelia è dedicata all’esortazione morale. In essa il Crisostomo fa ogni sforzo per indurre i suoi fedeli ad abbandonare il peccato e i vizi e ad abbracciare la virtù. Va detto innanzi tutto che lo sviluppo morale di ciascuna omelia è di ampiezza molto diversa (si può andare da brevi cenni a vere e proprie digressioni) e può coinvolgere in modo generico esortazioni al bene riguardanti molte virtù oppure vertere più specificamente su di un unico tema.

Indubbiamente, il punto su cui il nostro esegeta insiste di più è il rapporto con la ricchezza. Con straordinaria frequenza denuncia e condanna l’avidità imperante, raccomandando il distacco dai beni materiali, che rendono schiavi e disumanizzano gli uomini. Il rimedio contro questo male, però, non è la condanna e il rifiuto di ogni ricchezza (il Crisostomo non è così radicale, e riconosce la dignità del lavoro e della sua retribuzione), ma il suo corretto impiego a favore dei poveri, di cui è strumento privilegiato l’elemosina, potente mezzo di penitenza e di remissione dei peccati. Ricorrono poi con notevole frequenza parole di condanna di altri vizi e di esortazione ad altre virtù. Tra i vizi su cui si abbatte la condanna del Crisostomo spiccano la vanagloria, spesso abbinata alla superbia, l’invidia e l’ira. Ne consegue la costante esortazione ai fedeli a liberarsi da questi e da tutti gli altri peccati e vizi, a fare penitenza, a perdonare le offese senza tramare vendetta, a praticare la giustizia, a pregare in modo disinteressato Dio, a studiare e meditare la Parola divina, a rispettare i sacerdoti, a coltivare la concordia e le genuine amicizie, a visitare i carcerati, a soccorrere le vedove e in generale a curare la propria anima, a distaccarsi dal mondo e a dedicarsi alle cose spirituali. Esortazioni particolari sono poi quelle rivolte a raccomandare la sobrietà nei funerali e quelle indirizzate alle donne, perché con la loro morigeratezza mantengano l’armonia familiare e abbiano un’influenza positiva sui loro mariti.

 

Conclusioni

Lo schematico elenco appena fatto non è comunque da ritenersi esaustivo: la ricchezza degli spunti morali offerti dal Crisostomo è ben più ampia e articolata, e del resto solo una lettura diretta della sua eloquente parola può fare apprezzare davvero gli infiniti stimoli che egli sapeva proporre ai suoi fedeli e che sono ancor oggi di straordinaria modernità.


Domenico Ciarlo

Domenico Ciarlo, professore di lettere e cultore di letteratura patristica, ha trattato temi esegetici, apologetici, teologici e morali riguardanti il cristianesimo antico e pubblicati in articoli in riviste specialistiche. Applicandosi anche alla diplomatica e alla paleografia latina, ha edito fonti medievali, riguardanti in particolare il monachesimo e la storia locale. Per la Collana di Testi Patristici di Città Nuova ha curato i volumi n. 162 (Giovanni Crisostomo, Commento a Isaia – Omelie su Ozia), n. 174 (Giovanni Crisostomo, A Teodoro), n. 192 (Basilio di Cesarea, Contro Eunomio), n. 210 (Girolamo, Commento a Zaccaria – Commento a Malachia), n. 212 (Teodoreto di Cirro, Commento al Cantico dei Cantici), nn. 234, 235, 238 (Epifanio di Salamina, Panarion, eresie 61-80), n. 254 (Giovanni Crisostomo, Le coabitazioni), n. 258 (Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera agli Efesini).

1 commento

dario · 17 Settembre 2024 alle 12:09

Non sono pubblicate le sue lettere?

Lascia un commento

Segnaposto per l'avatar

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *