Scoperte papiracee nel deserto egiziano

Tra Ottocento e Novecento numerose missioni archeologiche furono inviate in Egitto con il fine di reperire manufatti e papiri da acquisire per conto dei grandi musei e biblioteche europee: grazie a queste missioni furono scoperti numerosi rotoli di testi letterari greci, come la Costitutizone degli Ateniesi di Aristotele, le Diegeseis di Callimaco, o le Odi di Bacchilide. A proposito di quest’ultimo, nel 1896, mentre si trovava in Egitto, l’egittologo Wallis Budge acquistò per il British Museum di Londra un rotolo di papiro contenente venti odi bacchilidee. Tuttavia, per poter ritornare in patria con il rotolo, egli architettò una serie di espedienti e diversivi che compresero anche l’utilizzo di una cassa di arance per distrarre i funzionari della dogana egiziana.

Le missioni di Giuseppe Assemani ed Henry Tattam

Missioni finalizzate all’acquisto di manufatti librari in terra egiziana risalgono però a molto più indietro nel tempo. Ad esempio, già nel 1715, papa Clemente XI inviò lo scriptor orientalis Giuseppe Simonio Assemani in Egitto e in Siria con l’obiettivo di trovare e acquistare manoscritti greci e orientali. La sua spedizione si concluse nel 1717: Assemani acquistò manoscritti copti, etiopici, arabi, persiani, turchi, nonché un corposo fondo di manoscritti siriaci proveniente dal Monastero dei Siriani nella Scete, in Egitto. Questa zona, nota anche come Nitria, era una vasta depressione desertica in cui a partire dal IV secolo trovarono rifugio monaci anacoreti e furono istituiti numerosi monasteri Assemani diede notizia delle sue scoperte nei quattro volumi della Bibliotheca Orientalis, pubblicati a Roma tra il 1718 e il 1729.

Nel 1839 il reverendo Henry Tattam visitò, insieme alla sua assistente Eliza Platt, i monasteri della Scete, con l’obiettivo di raccogliere materiale per il dizionario di copto che stava redigendo in quel momento. Dai monaci egiziani egli acquistò numerosi manoscritti, e, siccome non erano argomento precipuo dei suoi studi, Tattam decise di cedere al British Museum di Londra quarantanove manoscritti siriaci. Negli anni successivi il museo acquisì altri manoscritti siriaci soprattutto grazie al contributo del grande sirianista William Cureton. Quest’ultimo ebbe il merito di scoprire, all’interno di un manoscritto del Monastero dei Siriani, una versione abbreviata delle Lettere di Ignazio di Antiochia in siriaco, che oggi gli studiosi conoscono come recensio brevior.

I manoscritti siriaci di Severo di Antiochia

Un gran numero di manoscritti siriaci acquistati da Assemani per la Vaticana e da Tattam per il British Museum contenevano le opere di uno dei principali scrittori ecclesiastici e teologi vissuti tra V e VI secolo d.C., ovvero Severo d’Antiochia. Questa fu una scoperta sensazionale, in quanto nel 536 l’imperatore Giustiniano condannò Severo come eretico e proibì a chiunque di possedere e copiare le sue opere, tutte scritte in lingua greca: Severo era uno strenuo oppositore del dogma calcedonese sulle due nature in Cristo, e invece sosteneva la dottrina miafisita, ovvero secondo lui in Gesù Cristo esisteva un’unica natura prodotta dall’unione inconfusa di natura umana e natura divina.

A causa della condanna giustinianea, quasi tutte le opere di Severo non si sono conservate nella lingua originale: tuttavia sia mentre Severo era ancora in vita, sia negli anni immediatamente successivi alla sua morte, furono realizzate traduzioni in siriaco delle sue opere, che sono giunte fino a noi. Severo compose centoventicinque omelie, numerosi trattati polemici, inni, lettere ed opere liturgiche che si sono con ser vate quasi esclusivamente in traduzione siriaca.

Severo di Antiochia: una nuova stagione di studi

Le scoperte di Assemani e Tattam spinsero importanti sirianisti vissuti tra la fine dell’Ottocento e la fine del Novecento a interessarsi in maniera più approfondita della produzione del patriarca antiocheno. In particolare, gli studiosi di Severo hanno individuato come punto di svolta all’interno della storia degli studi la pubblicazione della monografia di Joseph Lebon Le monophysisme sévérien. Étude historique, littéraire et théologique de la résistance monophysite au concile de Chalcédoine jusqu’à la constitution de l’Église jacobite, pubblicata a Lovanio nel 1909.

Poco prima dell’uscita del volume di Lebon, ebbe inizio un’im­ponente campagna di pubblicazione delle opere di Severo contenute nei manoscritti ritrovati nei monasteri egizi. Tra il 1906 e il 1976 i volumi della Patrologia Orientalis ospitarono l’edizione di tutte le omelie severiane nella traduzione siriaca di Giacobbe di Edessa. Sempre all’interno dei volumi della Patrologia Orientalis sono stati pubblicati le lettere e gli inni in siriaco curati da Ernest Walter Brooks, che a inizio Novecento aveva già pubblicato parte della corrispondenza severiana nella traduzione siriaca di Atanasio di Nisibi. I trattati di Severo furono pubblicati nel Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium tra gli anni Cinquanta e Sessanta a cura di Joseph Lebon e Robert Hespel.

Severo di Antiochia oggi

In anni recenti, nuovi testi di Severo e fonti riguardanti la sua biografia sono stati riscoperti e pubblicati da eminenti studiosi quali Sebastian Brock e Youhanna Youssef, e nel 2018, in occasione dei 1500 anni dalla fine del patriarcato di Severo, si è tenuto un importante convegno a Salisburgo (Severus of Antioch and His Search for the Unity of the Church: 1500 Years Commemoration of his Exile in 518 AD) che ha coinvolto i principali esperti dell’Antiocheno, a testimonianza del fascino e dell’importanza che ancora oggi riveste la figura di Severo negli studi patristici.

Omelia sulla risurrezione – Collana Testi patristici

A questo proposito, nel 2019 per Città Nuova ho curato il primo profilo in lingua italiana sulla vita, la cristologia e le opere di Severo, e l’Omelia sulla risurrezione (Omelia 77) in prima traduzione italiana. All’interno della produzione del patriarca antiocheno l’Omelia 77 riveste un’importanza fondamentale, poiché si tratta dell’unica omelia di Severo a essersi conservata interamente in greco, a fronte delle altre conservate solo in traduzione siriaca. Sul modello delle Quaestiones ad Marinum di Eusebio di Cesarea, Severo cerca di risolvere alcune apparenti incongruenze contenute nel racconto evangelico della Risurrezione di Gesù (il momento in cui le donne andarono al sepolcro; la questione delle “quattro Marie”) e discute di altre questioni ad esse correlate (i “fratelli di Gesù”; il luogo dell’Ascensione).


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